Pur presente su gran parte dell’isola, il più siciliano dei vitigni autoctoni è coltivato intensamente in provincia di Siracusa (Avola, Noto e Pachino soprattutto) e in quelle di Ragusa, Caltanissetta, Agrigento e Catania. L’incredibile spirito d’adattamento di questo vitigno alle peculiarità pedoclimatiche del territorio, ha spinto Firriato (a eccezione della tenuta di Cavanera sull’Etna) a coltivarlo in tutti i suoi contesti produttivi. Vini con caratteristiche che rispecchiano le condizioni di ogni areale affiorano da uve singolari, con profili organolettici unici, i quali, sia in prodotti di pronta beva che in etichette con processi di affinamento medio-lunghi, concorrono a infondere nel calice le interpretazioni di questa eclettica varietà.
Nella tenuta di Borgo Guarini sono impiantati tre cloni diversi, ognuno coltivato assecondando le specificità dei tre rispettivi microclimi. È così che nascono i tre grandi cru della bacca rossa siciliana più nota a livello internazionale, nei terreni calcarei e argillosi dell’agro trapanese, tra i 130 ai 300 mt s.l.m. attraverso il sistema a controspalliera con potatura Guyot. Nella tenuta di Dàgala Borromeo vale lo stesso approccio filosofico-produttivo: non esiste un Nero d’Avola predefinito, non può esistere un modello interpretativo assoluto a cui affidarsi per tutti i vitigni impiantati e per tutti i vini prodotti. Altrimenti, sarebbero l’omologazione e l’indistinto, cioè la negazione stessa della territorialità. Come una Sicilia è tante Sicilie, un Nero d’Avola è tanti Nero d’Avola, una dialettica di cui fa parte anche quello impiantato nell’isola di Favignana, dove i 2 mt s.l.m., la vicinanza al mare e l’esposizione al Favonio, permettono una coltura ad alberello e un frutto con minore acidità.